UN‘ ETERNA GHIRLANDA BRILLANTE …
Luci d’Infinito e Ombre di Pensiero nella POESIA
di ALFONSO GATTO
di Maurizio Macale
“…Un Poeta-Filosofo che si solleva sulla pesantezza del mondo”. Con queste puntuali parole Italo CALVINO auspicava il nuovo Letterato del passaggio di Millennio nelle sue pre-millenniali – bellissime! – Lezioni Americane. Be’, con tutta probabilità, era stato già tra noi e era anche già scomparso, questo Poeta-Filosofo, ma Calvino non se ne era accorto: era stato l’italianissimo e, nel contempo, universale Poeta Alfonso Gatto.
Luci d’infinito…
Dopo Leopardi ogni verso non può che essere, necessariamente, Leopardiano ( e, prima, Petrarchesco…)… Anche se classico, neoclassico, romantico, new romantic, ermetico, moderno o modernista, rivoluzionario, materialista e marxista – vedi i magnifici Poeti Russi della Rivoluzione…– o conservatore, surrealista , frammentista o magico-realista…
E chi più ne legge e ne gusta, più ne metta, di atteggiamenti poetici e di versi diversi…
Così, sembra facile ritrovare nella luminosa e splendida Poesìa del noto e mai abbastanza rimpianto Poeta Salernitano (Salerno, 1909) Alfonso Gatto, prematuramente scomparso (Orbetello, 1976), anche pittore, critico d’Arte, critico letterario, scrittore di romanzi e di soggetti per il teatro, persino attore (importanti per lui gli anni giovanili trascorsi a Milano, ricchi di conoscenze dirette e di partecipazioni a riviste, fogli, problematiche letterarie e circoli di poesia, fondamentali ai fini del suo sviluppo artistico), sembra ovvio, si diceva, ritrovare nei suoi sempre luminosi, musicali ed ariosi versi una straordinaria Bellezza dell’ANIMA e del CORPO, per nulla facile da rinvenire in altri Poeti moderni… Sarà la sua ‘meridionalità’ (mai, per sua natura c per sua ferma intenzione, meridionalismo…), sarà la sua spiccata sensibilità personale né mai soltanto estetica, ma proprio naturale ed in Lui come quintessenziata, sarà, ancora, che Poeti si nasce, e non si diventa frequentando corsi di Poesia, sufficienti tutt’al più al fine di diventare al massimo buoni fruitori e, con un po’di fortuna, cultori di Poesìa, non certo ‘fascinatori’: qual’era, per l’appunto, il buon Alfonso, un Gatto randagio, spesso, un Gatto di strada, compagno di avventure casuali e cercate, di politica e di Vita di tutti i giorni,
Non si dimentichi che la sua carriera poetica iniziò, con la raccolta Isola, nello stesso anno, il 1932,
in cui usciva la fondamentale raccolta Ungarettiana Sentimento del Tempo. Quasi una premonizione…
Anima di profonda e peculiare sensibilità, quella di Alfonso Gatto, di un acuto e penetrante osservatore della realtà, non di quella, soltanto, per così dire, quotidiana, dunque, e talora un po’ scolorita e sciupata, ma soprattutto della Sopra-Realtà, il Mondo Reale, una Realtà, al contrario, parallela ma ad un livello Superiore, che egli sapeva vedere e che è sommamente importante se non fondamentale, visto che spiega, ab Alto, anche ciò che si trova, per disgrazia, per avventura ovvero per dovuto Destino, a giacere in basso…
Tanto era il magnetismo ed il fascino, non solo formali, che sapeva donare ai suoi versi – ed a noi, ovviamente, suoi affezionati e fortunati-innamorati Lettori – , versi quasi CesarePavesiani per certi aspetti, sempre intrisi di terragnola umorosità e di essenze e di profumi del mondo e della terra a lui circostante e del Mondo Superiore che sapeva frequentare con la sua Anima… Si védano, in tal senso, le magnifiche ed odorose – nella loro essenzialità – descrizioni della ‘sera’. Le sere di Gatto hanno un sapore davvero alla Petrarca e post-leopardiano : dolci sempre le narrazioni poetiche, ma percorse continuamente da una venatura di doverosa tristezza, legata al fatto che il mondo ed il tempo sono quello che sono, e ancora e senza patteggiamenti, alla amarissima circostanza che noi e il mondo siamo, purtroppo, destinati a finire, ognuno nella propria personale ‘sera’… E lì non c’è politica che tenga e che possa fornire spiegazioni: così se ne dissero tante sull’allontanamento dell’ottimo Alfonso dall’allora PCI (1951), ma forse tale manifestazione di contrastata indipendenza la si spiega meglio se si pensa al suo intrinseco ‘senso del dolore’ , di Uomo e di Poeta di fronte alla assoluta ineffabilità dei casi del mondo e della Vita…Del Male, in una parola, quotidiano e Metafisico, anzi tanto più di cifra metafisica quanto più quotidiano. Che non poteva più, evidentemente, trovare pace e spiegazioni in già allora aride formule di Partito politico… Così, si gusti :
” Io vedo i grandi alberi della sera / che innalzano i cieli dei boulevards,/ le carrozze di Roma che alle tombe / dell’ Appia antica portano la luna. / Tutto di noi gran tempo ebbe la morte…”. E continua con “O sera umana di noi raccolti / uomini stanchi uomini buoni…/. Per finire con : “ … il cuore desto / avrà parole?/ Chiamerà le cose, le luci, i vivi? / I morti, i vinti, chi li desterà? “ (Amore della Vita, 1944) .
Magnifico! Che dire, Leopardi ‘rettificato’ nel – e dal – dolore e dal senso del finire tipici della - meccanica - vita contemporanea…E sì che si tratta di anni in cui Gatto si commuove di fronte al sacrificio interiore ed esterno degli uomini e donne della Resistenza…In questo àmbito la raccolta Il capo sulla neve , e, ancora, il più tardo e comprensivo titolo La storia delle Vittime , proprio in quegli anni di guerra fraterna, è il commosso e partecipato omaggio di Gatto ai drammi fatali della Resistenza. Non è del resto, vero, che ”ogni guerra è una guerra civile…”? Per dirla con le commoventi parole di Cesare Pavese, in un capoverso conclusivo del suo splendido romanzo breve “La casa in collina”, brano che inizia con queste tormentate e significative parole, di un protagonista che, non avendo partecipato alla lotta che aveva infuriato a due passi dalla sua casa-rifugio in collina langarola, e tormentato per ciò dai suoi personali rimorsi, inizia affermando con angoscia : “ Ho visto i morti repubblichini…”, parole politicamente, in séguito, attaccate dalla opposta sponda e comunque oggetto di disputa alternatamente destra-sinistra…Tutti i morti, in sostanza, in quanto ‘morti ‘sono uguali, e la morte abolisce, in via naturale, le differenze causate dalle fortuite e/o disgraziate scelte operate in vita… Così conclude, Pavese, un racconto-percorso di commossa partecipazione più ampiamente umano, del suo personaggio a prescindere dai disgraziati campi opposti in cui politicamente ci si trova schierati, con, alla fine, le appena citate parole ”ogni guerra è una guerra civile…”. E, davvero, di fronte a simile profonda presa di coscienza, non possono esservi, piaccia o dispiaccia, ulteriori spiegazioni…
Come dire che “ogni morte di uomo mi diminuisce...” (John Donne).
“ Mio il figlio, non era della guerra, non era della morte e la pietà // che cerco è di svegliare col suo nome // tutta la notte, di fermare i treni // col mio petto perché non parta, lui, // ch’è già partito e che non tornerà. // Mio figlio, non era della guerra, // non era della morte e le parole // che m’hanno dato in cambio del suo volto, // dei suoi occhi terribili sono queste: // che la patria si glorii dei suoi lutti // e dei cani che piangono legati // dietro la porta dei padroni // “ : così ‘canta’ nei luminosi versi Gattiani, con grazia e disgrazia, la mamma di un giovane morto nella Guerra di Liberazione… (da Lamento di una mamma napoletana ).
Il motivo dell' amore, ancora, viene da Gatto cantato in tutte le maniere possibili ed immaginabili ed esplorato e declinato in tutte le direzioni e possibilità, pur se, talora, alcune sue intonazioni di tipo classicheggiante sembrerebbero in taluni casi impacchettarlo come in uno schema di sensibilità costretta. Le descrizioni poetiche dell’Amore Gattiano mai, in ogni caso, contrastano con il valore propriamente fonico/sonoro/musicale della parola e del preciso termine poetico (anche quando sontuoso) scelti all’ uopo, trasformàndosi, pertanto, in un momento di Grazia e di assoluta suggestione lirica e ispirativa, sintesi perfetta di intuizione lirica e di intensa partecipazione umana…
In tal senso, c’è solo l’imbarazzo della scelta, ermetismo, surrealismo, petrarchismo o che altro? Visto che Gatto attraversò nella sua ispirazione poetica tutti – ed altri – questi momenti… Ci si goda questi pochi, sorprendenti, versi :
“ Solo così l’amore avrà nelle tue braccia/
la carità del buio… ”.
Ed inoltre :
“E baci perdutamente
sino a che l’arida bocca
come la notte è dischiusa,
portata via dal suo soffio…”.
Sul senso di festa – in non pochi casi per fortuna – e sulla ‘gioviale precarietà’ della Vita, poi, ce n’è di versi assai godibili e musicali :
“Tutto si calma di memoria e resta
il confine più dolce della terra,
una lontana cupola di festa …”.
Spesso, infine, dopo la perdita prematura dell’ amatissimo figliolo Teodoro, si trasformano le tematiche ed il tono – restando, però, la musica poetica sempre la stessa – dei versi successivi a tali luttuosi eventi, virando i temi spesso verso pensieri ed immagini, diremo, sepolcrali, di cimiteri, di vite non-compiute, di destini ingrati e simili…
“Risvegliare dal nulla la parola.
È questa la speranza della morte
che vive del suo fumo quando è sola,
del silenzio che vèntila le porte.
Il passato non cessa di passare
e l'odore che sparve è l'aria calda
che ferma gli oleandri lungo il mare
in un soffio di mandorla e di cialda...”.
Significativi e poeticamente folgoranti i pochi versi lasciati da Eugenio Montale sulla tomba a Salerno dell’amico Alfonso, dove un semplice macigno informe costituisce la pietra tombale :
«Ad Alfonso Gatto
per cui vita e poesie
furono un'unica testimonianza
d'amore» .
Da citarsi, per la tenerezza e la simpatia che infonde nel passante e nell’ osservatore, è la circostanza delle tavole di versi che si trovano apposte sulla facciata di case in un vicolo della vecchia Salerno, ad immortale ricordo dei luminosi versi di Alfonso Gatto…
Sarebbe – e sarà – bello terminare con i ‘versi’ , con le parole, più che poetiche, trascendenti, della ‘Grande Anima’, di tutt’altro versante – quello della Sapienza Orientale –, Bagwan Osho Sri Rajneesh – che di sicuro un’Anima di Luce come Alfonso Gatto avrebbe (o magari avrà, lui sempre così attento…) ammirato in silenzio – circa la fondamentale importanza dell’ Amore Universale, perché, alla fine, è solo questo che spiega e tiene unito il Creato :
” Se mi hai amato, per te io vivrò per sempre. Vivrò nel tuo amore. Se mi hai amato, il mio corpo potrà anche scomparire, ma io, per te, no, non potrò mai morire. Anche quando me ne sarò andato, so per certo che tu mi verrai a cercare.
Di sicuro, confido proprio che tu mi verrai a cercare in ogni pietra e in ogni fiore e in ogni sguardo e in ognuna delle stelle che trapuntano il cielo. Però una cosa te la posso fin da ora promettere :
Se tu mi verrai a cercare, non potrai certo mancare di ritrovarmi… Be’, in ogni stella e in ogni sguardo, in ogni pietra e in ogni fiore…
Infatti, se tu hai veramente amato, nel più profondo del tuo cuore, un Maestro, con lui sei entrato nel Regno dell’ Eterno. Non è una relazione dispiegàntesi nel tempo, tale legame vive nella assoluta atemporalità.
Non ci sarà nessuna morte. Ιl mio corpo certo scomparirà, il tuo corpo di sicuro scomparirà, ma questo non costituirà una incolmabile differenza.
Se la scomparsa del corpo creasse una sia pur minima differenza…
…Senz’altro ciò starebbe esclusivamente a dimostrare che tra noi non è, purtroppo, intercorso l’ Amore.”
O S H O Rajneesh
La Grandi Anime vivono per sempre…
E la POESIA è un legante Universale…
Ciao Alfonso
Maurizio MACALE