VIGNE NUOVE - Dal Tufello alla Frontiera 2.0 - Porta di Roma
racconto fotografico di Mauro Navarra
Il primo ricordo che ho di via delle Vigne Nuove risale alla fine degli anni 60 ed è legato alle domeniche pomeriggio trascorse nel glorioso cinema AUREO.
A quei tempi entravamo sempre a proiezione iniziata, a volte accompagnati dalla maschera, onirica figura che, nel buio, con il suo fascio di luce, illuminava file di ginocchia sbucciate, sopra tappeti di cicche e bruscolini.
Vedevamo e rivedevamo i numerosi film di avventura fino ad impararne ogni singola scena e, all’uscita, intrisi di fumo e di pop corn, ci lanciavamo urlando a squarciagola lungo le scalette delle “francesine” zigzagando e inciampando sui sanpietrini di via Capraia” e delle Isole Curzolane, impegnati come eravamo ad imitare le gesta dei nostri “eroi” ormai imparate a memoria.
Oltre le case dei francesi ed il bocciodromo la vista va alla chiesa S. Maria Assunta dove nel 1998, grazie all’intraprendenza del parroco di allora, Don Rino, gli abitanti del Tufello ebbero la fortuna di incontrare Papa Giovanni Paolo II in una delle sue numerose visite pastorali nelle borgate romane. La parrocchia del 1950 è oggi tornata alla ribalta in quanto spesso menzionata dai biografi e dai vecchi amici di Gigi Proietti. Proprio nell’oratorio infatti, il grande attore romano trascorreva da ragazzino le sue giornate, come tra l’altro gran parte dei suoi coetanei, distinguendosi in special modo nell’interesse e nella bravura per il canto corale.
A quei tempi entravamo sempre a proiezione iniziata, a volte accompagnati dalla maschera, onirica figura che, nel buio, con il suo fascio di luce, illuminava file di ginocchia sbucciate, sopra tappeti di cicche e bruscolini.
Vedevamo e rivedevamo i numerosi film di avventura fino ad impararne ogni singola scena e, all’uscita, intrisi di fumo e di pop corn, ci lanciavamo urlando a squarciagola lungo le scalette delle “francesine” zigzagando e inciampando sui sanpietrini di via Capraia” e delle Isole Curzolane, impegnati come eravamo ad imitare le gesta dei nostri “eroi” ormai imparate a memoria.
Oltre le case dei francesi ed il bocciodromo la vista va alla chiesa S. Maria Assunta dove nel 1998, grazie all’intraprendenza del parroco di allora, Don Rino, gli abitanti del Tufello ebbero la fortuna di incontrare Papa Giovanni Paolo II in una delle sue numerose visite pastorali nelle borgate romane. La parrocchia del 1950 è oggi tornata alla ribalta in quanto spesso menzionata dai biografi e dai vecchi amici di Gigi Proietti. Proprio nell’oratorio infatti, il grande attore romano trascorreva da ragazzino le sue giornate, come tra l’altro gran parte dei suoi coetanei, distinguendosi in special modo nell’interesse e nella bravura per il canto corale.
Sull’altro lato della strada, il nuovo parco nato a compendio della lottizzazione residenziale dei giardini di Faonte, delimita l’antica cisterna romana e gli ex casali di Vigna Chiari, oggi ricostruiti, che dovrebbero accogliere il polo museale/archeologico del III municipio.
Poco più avanti il ricordo va agli anni 70 e all’improvviso rivedo i compagni del liceo Archimede che saltano dalle finestre del piano terra del Matteucci occupato, all’ingresso dei celerini. Doppi turni forzati in attesa dell’agibilità della scuola di via Vaglia al Nuovo Salario.
E seguire, via Cadibona in “quella cantina buia dove noi…” imparavamo a suonare il progressive italiano (Trip, Rovescio, PFM, Banco, Osanna) sotto l’occhio “vigile” di uno psichedelico Jimi Hendrix disegnato sul muro. Ad ogni ingresso nel locale non trovavamo mai le cose come le avevamo lasciate l’ultima volta. Praticamente la chiave ce l’avevano in molti nel quartiere. Diciamo un primo esempio di sala prove popolare condivisa. Ottimo insegnamento per una sana crescita futura se non fosse altro che l’affitto e la strumentazione la pagavamo soltanto noi del gruppo. D’altronde, in qualità di figli di ferrovieri, in quella via che partiva dal Tufello e si perdeva nella campagna romana eravamo considerati benestanti.
Poco più avanti il ricordo va agli anni 70 e all’improvviso rivedo i compagni del liceo Archimede che saltano dalle finestre del piano terra del Matteucci occupato, all’ingresso dei celerini. Doppi turni forzati in attesa dell’agibilità della scuola di via Vaglia al Nuovo Salario.
E seguire, via Cadibona in “quella cantina buia dove noi…” imparavamo a suonare il progressive italiano (Trip, Rovescio, PFM, Banco, Osanna) sotto l’occhio “vigile” di uno psichedelico Jimi Hendrix disegnato sul muro. Ad ogni ingresso nel locale non trovavamo mai le cose come le avevamo lasciate l’ultima volta. Praticamente la chiave ce l’avevano in molti nel quartiere. Diciamo un primo esempio di sala prove popolare condivisa. Ottimo insegnamento per una sana crescita futura se non fosse altro che l’affitto e la strumentazione la pagavamo soltanto noi del gruppo. D’altronde, in qualità di figli di ferrovieri, in quella via che partiva dal Tufello e si perdeva nella campagna romana eravamo considerati benestanti.
Tornando sulla via poi i continui restauri della torretta idraulica dell'acquedotto Marcio, quello che dalla valle dell’Aniene portava l’acqua a Roma rinfrescando le sinuose forme delle conturbanti naiadi, di rutelliana memoria. Di fronte, sotto il palazzo a cortina poi le scuderie scoperte e ricoperte di via Capo Sottile, sempre in prossimità della villa di Faonte, dove l'imperatore Nerone, secondo gli scritti di Svetonio morì suicida nel 68 D.C.
A contrafforte, le case popolari che dal palo della morte scendono fino a via De Curtis, strenuamente difese dagli architetti dello studio Passerini, di cui vedevo, verso la fine degli anni ’70, i torrioni crescere giorno dopo giorno dalla casa di mia nonna di via Camillo Peano . Più di 500 nuovi alloggi per quasi 3.500 abitanti, costruiti come quelli successivi di Corviale e del Laurentino 38 con l’utilizzo di grandi prefabbricati modulari per velocizzare i tempi. Costruzioni disposte lungo linee rette, curve, oblique, riempite di corpi cilindrici, quadrati. Grandi spazi alternati a corridoi stretti e bui, labirintici e disorientanti, livelli sfalsati rispetto al piano stradale che accrescono ancor di più il già naturale isolamento. Porticati oggi in gran parte trasformati abusivamente in box, cantine e magazzini, dai prepotenti di turno. Il tutto contraddistinto dall’ultima cattiveria che al popolo degli assegnatari si potesse fare, l’immancabile colore triste del cemento; il grigio. Un progetto commissionato dall’IACP con i fondi GESCAL del 1969 diciamo in quella fase di passaggio DC-PCI a cui si deve l’ultima massiccia costruzione di case popolari, per soddisfare l’alto fabbisogno abitativo di allora. Lavori avviati i primi anni ’70 e portati a termine per buona parte nel 79. Per gli architetti grande spazio alla creatività, alla sperimentazione ed alla libertà del tratto sul tecnigrafo (invito i giovani a conoscere questo grosso mouse sensibile alla manualità del tempo). Sul progetto iniziale, ben evidenziati, risultavano tutti i servizi per la venuta comunità; negozi, scuola materna, scuola elementare, centri sportivi e USL, l’unica cosa definitivamente realizzata oltre ai 2 campi da tennis e alla palestra. Proprio in questa palestra al civico 469 nel ‘98 in una piovosa serata di novembre il grande regista inglese Ken Loach accompagnato dal suo sceneggiatore Paul Laverty presentò, davanti ad un inzuppato Paolo Pietrangeli e alla brava e simpaticissima Marlisa Trombetta, l’allora suo ultimo film “My name is Joe”.
Conclusione dei lavori: costruzione in economia, sempre giustificata dallo scarso budget a disposizione, scarsità di controlli manutentivi oltre all’assenza di vigilanza soprattutto sulle parti comuni. Quindi grande spazio ai furbetti del quartiere.
Conclusione dei lavori: costruzione in economia, sempre giustificata dallo scarso budget a disposizione, scarsità di controlli manutentivi oltre all’assenza di vigilanza soprattutto sulle parti comuni. Quindi grande spazio ai furbetti del quartiere.
Parliamoci chiaro, io non contesto la struttura architettonica e la geniale idea dei corpi scala rappresentati dai torrioni cilindrici fissati al terreno come canne d'organo rovesciate, che hanno sempre trovato spunti interessanti nella mia fotografia. Quello che non ho mai capito, conoscendo tra l’altro bene il territorio ed i romani, è la filosofia che ha spinto i pur intelligenti urbanisti del tempo, a suggerire alla politica la creazione in periferia di enormi casermoni (città nella città) pensando che con quella concentrazione abitativa, si sarebbe ricreata alle soglie del 2000, la convivialità di un tempo con le giornate trascorse nei cortili o all’interno delle botteghe dietro casa. Come è stato possibile pensare che in quel contesto fortificato figlio del razionalismo degli anni 50/60, gli inquilini, soprattutto i più giovani avrebbero trovato il piacere di chiudersi e ristorarsi negli angusti spazi comuni, “socializzanti”, da subito tra l’altro trasformati in ulteriori vani abitativi per amici o parenti?
Poi nell’87 la mia nuova residenza romana al civico 404 dopo la piacevole parentesi lavorativa quinquennale nella città della lanterna. Quanti ricordi. I pomeriggi con Maurizio e amici in costiera o al centro in via Venti, via del Campo, la funicolare del Righi, il gelato a Boccadasse, il Marassi e la Roma che perdeva sempre col Doria, ma erano i tempi di Vialli e di Mancini, per cui ci c’era poco da fare. Ci riconsolavamo con la farinata di Porta Soprana o con l’ottima focaccia di Recco.
Poi nell’87 la mia nuova residenza romana al civico 404 dopo la piacevole parentesi lavorativa quinquennale nella città della lanterna. Quanti ricordi. I pomeriggi con Maurizio e amici in costiera o al centro in via Venti, via del Campo, la funicolare del Righi, il gelato a Boccadasse, il Marassi e la Roma che perdeva sempre col Doria, ma erano i tempi di Vialli e di Mancini, per cui ci c’era poco da fare. Ci riconsolavamo con la farinata di Porta Soprana o con l’ottima focaccia di Recco.
E arriviamo agli anni ’90. Dall’affaccio del mio balcone verso la Bufalotta tra casali, tralicci, le papere di Franca gli orti e addirittura struzzi, assistevo alla costruzione del viadotto dei Presidenti, per piacere dei nostri bimbi chiamato “lo stradone”; tolte le rotelle, grandi corse in equilibrio sulla strada appena asfaltata ma ancora chiusa al traffico. Una strada a scorrimento veloce che secondo il progetto dei primi anni del decennio avrebbe dovuto collegare Saxa Rubra alla Laurentina e favorire la mobilità dei quasi 200.000 abitanti del quartiere, allora IV circoscrizione di Roma.
Un tracciato di 25 chilometri di asfalto con annessa sede tramviaria (T3) per l’allora attesa “cura del ferro” (Rutelli-Veltroni) ma, all’apertura, nel 1996, ne furono realizzati meno di 3, praticamente dalle propaggini di Fidene fino a via della Bufalotta. Era scontato. D’altronde come ci si poteva illudere di toccare e stravolgere le belle, alberate e residenziali via Fucini e via Graf. E soprattutto quale altra via avevano preso i fondi necessari per completare il progetto?
Risultato: declassificazione a strada urbana; sede tramviaria ormai inadeguata per la tipologia dei treni moderni, stazioni mai completate (Serpentaria e Vigne Nuove); ricoveri di fortuna sotto di esse per i senza tetto; continui furti dei tombini di ghisa, muri dipinti su muri dipinti, dapprima con tag per marcare il territorio e poi con figurativi più o meno ricercati nello stile degli ultimi street writers, su cui scorrono quotidianamente le tante facce sudate dei numerosi runners da marciapiede.
Un tracciato di 25 chilometri di asfalto con annessa sede tramviaria (T3) per l’allora attesa “cura del ferro” (Rutelli-Veltroni) ma, all’apertura, nel 1996, ne furono realizzati meno di 3, praticamente dalle propaggini di Fidene fino a via della Bufalotta. Era scontato. D’altronde come ci si poteva illudere di toccare e stravolgere le belle, alberate e residenziali via Fucini e via Graf. E soprattutto quale altra via avevano preso i fondi necessari per completare il progetto?
Risultato: declassificazione a strada urbana; sede tramviaria ormai inadeguata per la tipologia dei treni moderni, stazioni mai completate (Serpentaria e Vigne Nuove); ricoveri di fortuna sotto di esse per i senza tetto; continui furti dei tombini di ghisa, muri dipinti su muri dipinti, dapprima con tag per marcare il territorio e poi con figurativi più o meno ricercati nello stile degli ultimi street writers, su cui scorrono quotidianamente le tante facce sudate dei numerosi runners da marciapiede.
Qualche idea per il riutilizzo parziale e temporaneo del tracciato è avvenuta nel 2014 sulla spinta del progetto Greenapsi, elaborato dai giovani architetti Foffo e Longo, che prevedeva l’utilizzo della sede tranviaria abbandonata come percorso ciclo pedonale, che attraverso sopraelevazioni avrebbe dovuto riunire quartieri precedentemente separati dalla sede stradale. Attraverso i fondi del progetto europeo TUTUR e grazie al supporto dello staff del G124 di Renzo Piano e di alcune associazioni del quartiere coordinate dalla brava Daniela Patti, per un breve periodo, all’altezza della stazione Serpentara, fu realizzato uno spazio aggregativo per giovani e bambini con l’intento soprattutto di dimostrare, all’amministrazione comunale, le risorse e le potenzialità del vuoto rappresentato dagli spazi urbani abbandonati.
Oltrepassando il viadotto, a destra, oltre il casale il ricordo torna agli anni ’90 e alla COOP. Un supermercato “diverso”. La partecipazione e la responsabilità nel sentirsi soci, gli incontri, le prime tessere, le offerte riservate in occasione delle festività, i libretti di risparmio, i viaggi organizzati.
Poco più avanti poi, nell’omonimo piazzale, il centro commerciale Flaiano. Diversi negozi di qualità e addirittura un ufficio postale davanti al quale si fece festa insieme al grande Walter Tocci per la ristrutturazione dello spazio sportivo comunal-popolare abbandonato al degrado che, dopo anni di lotte, vide alle soglie del 2000, una rinascita grazie all'affidamento del terreno alla polisportiva “Delle Vittorie”.
Risalendo lungo la direttrice di Via delle Vigne Nuove mi ricordo le pecore sul prato adiacente la parrocchia S. Alberto Magno appena realizzata, le annuali processioni lungo la via, il grande mercato delle pulci inizato a via Gino Cervi e proseguito a via Cesco Baseggio, destinata a diventare il nuovo capolinea dei diversi bus che negli anni ci hanno permesso di uscire dal quartiere e raggiungere il centro.
Infine l’impegno con Luciano Gagliardi e tutti gli altri amici del Comitato di quartiere Vigne Nuove, con cui ho collaborato per più di 10 anni alla realizzazione della rassegna cinematografica dell’estate romana “Cinema fuori e cose che capitano”, grazie alla quale ho avuto la possibilità di conoscere il grande regista inglese Ken Loach, il compianto Ettore Scola e tanti allora giovani attori e registi italiani (Muccino, Milani, Luchetti, Vicari, Soldini, Chiesa, Mastandrea, Ravello ecc.ecc.ecc.).
Le mie annuali mostre fotografiche sul quartiere che possono essere condensate in un unico titolo, oggi aggiornato, “Vigne Nuove, dal Tufello alla Frontiera”. Una frontiera che ormai si è chiusa e un nuovo quartiere è stato innalzato. Porta di Roma. Alla sua inaugurazione il più grande centro commerciale d’Europa. Vetri, specchi, luci, musica, colori e ardite scale mobili che proprio per la mancanza di spazi aggregativi nel quartiere hanno, pur se con un certo disorientamento iniziale da parte dei meno giovani, avvicinato i “comici spaventati guerrieri” ai più famosi negozi di tendenza. Per quelli della mia età un passatempo per gigionizzarsi e sentirsi ancora attivi e protagonisti. Per chi invece sopravvive senza entusiasmarsi più di tanto per le nuove tecnologie, un luogo si, da frequentare per qualche buon affare ma che va percorso a passo lento ragionando con la propria testa magari tenendosi per mano.
Uno spazio comunque accattivante e che potrebbe rappresentare in tutti i periodi dell’anno, un magnifico luogo di incontro per ricerche e innovazioni culturali e artistiche, comprese mostre fotografiche continue lungo i corridoi di passaggio dei livelli sotterranei. La mia massima collaborazione a tale progetto qualora qualcuno lo voglia portare avanti.
Insomma aprirsi anche da questo punto di vista all’intera città. Non più una città nella città ma una periferia che ha professionalità e idee in più da offrire ad un centro sempre più omologato, caotico e affamato di turismo a cui offrire la banalità e la qualità del mordi e fuggi.
Ma questa è un’altra storia ed anche un altro mio prossimo racconto.
In attesa di preparare altre pubblicazioni puoi vedere sui sottostanti link le mie ultime documentazioni fotografiche sul quartiere.
A presto e grazie per il tempo dedicato.
Mauro Navarra
Incontro con Ken Loach - palestra Vigne Nuove
https://mauro-navarra.weebly.com/kenloach.html
Estate Romana – Cinema fuori e cose che capitano
https://mauro-navarra.weebly.com/cinemafuori-1.html
Le Francesine o case dei Francesi - Tufello
https://mauro-navarra.weebly.com/tufello---borgate-romane.html
Borgate Romane - Pratorotondo
https://mauro-navarra.weebly.com/prato-rotondo---borgate-romane.html
[email protected]
Insomma aprirsi anche da questo punto di vista all’intera città. Non più una città nella città ma una periferia che ha professionalità e idee in più da offrire ad un centro sempre più omologato, caotico e affamato di turismo a cui offrire la banalità e la qualità del mordi e fuggi.
Ma questa è un’altra storia ed anche un altro mio prossimo racconto.
In attesa di preparare altre pubblicazioni puoi vedere sui sottostanti link le mie ultime documentazioni fotografiche sul quartiere.
A presto e grazie per il tempo dedicato.
Mauro Navarra
Incontro con Ken Loach - palestra Vigne Nuove
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Le Francesine o case dei Francesi - Tufello
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Borgate Romane - Pratorotondo
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